BMW K1: il brutto anatroccolo

BMW K1 – Il nostro Caporedattore se la ricorda bene questa moto. Ne rimase affascinato perché la vide per la prima volta sulla copertina di una rivista di auto e non di moto! Questo bastò a fargli capire il livello di interesse che la K1 avrebbe suscitato non solo tra gli appassionati di due ruote, ma in generale tra gli amanti dei motori.

Con un coefficiente di resistenza aerodinamica mai raggiunto prima nel settore motociclistico, la sospensione posteriore Paralever e il motore a sogliola della serie K ma dotato di distribuzione a sedici valvole, la BMW K1 era l’evoluzione più estrema della K100 standard, moto che non soddisfò i canoni della Casa bavarese in quanto ad immagine e prestazioni. La prima apparizione della K1 risale al salone di Colonia del 1988 quando BMW stupì il mondo motociclistico grazie ad una moto di concezione avveniristica; basta uno sguardo all’estetica per capire che con questo modello, BMW andò ben oltre i canoni delle supersportive dell’epoca. La carrozzeria in fibra di vetro era composta da sette elementi che le consentivano, grazie all’approfondito studio aerodinamico al quale venne sottoposta, di raggiungere i 240 km/h di velocità massima. Considerando che il motore aveva “solo” 100 cv per via delle restrizioni che vigevano in Germania in quegli anni, il risultato è di tutto rispetto se si pensa anche al peso ed alle dimensioni della moto in questione. I padri della serie K – o Kompact Drive – sono Josef Fritzenwenger e Stefan Pachernegg e svilupparono quello che sarebbe stato il propulsore in questione sulla base di un motore Peugeot per auto.

MARKETING E INNOVAZIONE

La concorrenza giapponese, in quegli anni, era spietata e le supersportive nipponiche vantavano potenze che oltrepassavano di slancio i 100 cv. Il Marketing di BMW chiese specificatamente una nuova supersportiva che potesse conquistare i giovani grazie a linee innovative, contrastando allo stesso tempo il dominio orientale. Il problema principale risiedeva nel fatto che in Germania vigeva una regolamentazione per la quale non era consentita la produzione di motociclette con potenze superiori ai 100 cv, motivo per il quale il colosso tedesco dovette lavorare sull’aerodinamica per poter compensare la mancanza di cavalleria. Vennero riprese le scelte di stile viste nel al salone di Colonia del 1984 dove un esercizio di design su base K100 denominato “Racer”, anticipava le tendenze di quelle che sarebbero state le linee delle BMW del futuro. Il risultato è questa particolare due ruote che non ha incontrato subito il favore del pubblico, proprio per le particolari “fattezze”: non una supersportiva a tutti gli effetti quanto una sport-tourer capace di viaggiare sulle Autobahn tedesche con una stabilità sorprendente anche oltre i 200 km/h. Quando è stata progettata la K1, sembra che i tecnici della casa dell’elica si siano ispirati alla Ducati Paso di Massimo Tamburini, forse la prima vera moto completamente carenata e studiata per raggiungere alte velocità, cercando di strizzare l’occhio ai consumi. Se si presta attenzione alla sezione posteriore, ci si accorge invece della netta somiglianza con il codone della Kawasaki KR500 da gara del 1982, dove i terminali di scarico vennero alloggiati all’interno di appositi elementi scatolati che riprendono la forma del posteriore della K1: ovviamente, invece degli scarichi, sulla BMW gli alloggiamenti posteriori laterali sono dotati di chiave e costituiscono gli unici vani di carico utili disponibili. Come dotazione aftermarket vi era la possibilità di installare una borsa morbida sul serbatoio ma, proprio per via della ricercata forma aerodinamica, non era possibile aggiungere valigie o borsoni di sorta.

FUTURISTICA E TECNOLOGICAMENTE AVANZATA

Per creare la K1, gli ingegneri BMW iniziarono a lavorare sulla K100 con l’intento di portarla ad un livello superiore. Il telaio venne irrigidito ed il propulsore definito “ a sogliola”, dotato di un’iniezione più moderna, di nuove parti più resistenti e di una innovativa testa a 16 valvole, riuscendo così ad aumentare la curva di coppia e la cavalleria, pur rimanendo nelle restrizioni imposte dal governo tedesco dell’epoca. La moto era dotata di ABS, un equipaggiamento che si vedrà almeno dieci anni dopo sui veicoli a due ruote; un’altra soluzione innovativa è senza dubbio la sospensione posteriore dotata di sistema Paralever – nata sulle Boxer e qui per la prima volta accoppiata al motore quattro cilindri – e singolo ammortizzatore Bilstein. Questo schema adottato da BMW viene utilizzato per minimizzare le forze indotte dalla trasmissione ad albero cardanico che risulterebbero opporsi al naturale schiacciamento della sospensione durante la fase di accelerazione; in parole semplici, in fase di accelerazione, il Paralever mantiene la moto orizzontale, riducendo lo schiacciamento del posteriore, facendo in modo di non alleggerire l’avantreno. Oggi – con tutta l’elettronica disponibile e le più moderne IMU a 6 assi – equivale a fantascienza ma, sul finire degli anni ’80, BMW alzò l’asticella in quanto a tecnologia e sicurezza, complice la forcella Marzocchi all’anteriore e all’impianto frenante Brembo con dischi anteriori da ben 305 mm di diametro che servivano a fermare i 245 kg di peso della massiccia sport-tourer tedesca. I test dell’epoca parlano di un impianto frenante eccellente e soprattutto di un sistema ABS poco invasivo che lasciava spazio a tutto il mordente dei Brembo, entrando in azione solo quando strettamente necessario. Come già visto su alcune concorrenti dello stesso periodo, anche BMW montava un cerchio da 17” all’anteriore e da 18” al posteriore.

NIENTE A CHE VEDERE CON LE GIAPPONESI DEL PERIODO

Purtroppo la BMW K1 non riscosse il successo sperato e lo testimoniano i soli 6.921 esemplari prodotti dal 1988 al 1993. Italia e Giappone erano all’avanguardia con le varie Ducati 916 e successive evoluzioni, la famiglia delle Honda RC ed RVF e Kawasaki con le sue ZXR: mostri sacri con le quali BMW si trovò ad aver a che fare, perdendo la battaglia ancor prima di iniziarla. Ergonomia, dimensioni, design ed un passo di ben 1.565 mm facevano della K1 una sport-tourer destinata ad effettuare anche lunghi spostamenti senza soffrire la minima turbolenza aerodinamica, eccezion fatta per la testa del pilota che rimaneva al di fuori della carenatura. Il raggio di sterzo costituiva un altro problema enorme: con ben 7 metri di raggio, si potevano verificare delle condizioni nelle quali il pilota si trovava a dover scendere dalla moto per manovrarla da ferma, semplicemente per farla “puntare” nella direzione corretta. Strade piene di tornanti o comunque ricche di curve a raggio stretto, potevano diminuire notevolmente il piacere di guida, costringendo il rider ad una guida attenta e spesso impegnativa. Un altro problema non da poco era l’emissione del calore da parte del 4 cilindri che restava “imprigionato” all’interno della carenatura in vetroresina, sfogando così dai pochi passaggi liberi ed investendo il guidatore con temperature elevatissime, idonee più alla guida in periodi freddi che in periodi nei quali è un piacere uscire in moto. Pur non essendo stata in grado di competere con le giapponesi, BMW presentò al mondo intero la sua prima “supersportiva”, anche se poi la categoria di assegnazione non rimase tale: certo è che le soluzioni tecniche utilizzate, anche se a volte un po’ goffe, hanno anticipato di almeno 10 anni le altre Case costruttrici, sia sotto il punto di vista ingegneristico che del design.

QUOTAZIONI E REPERIBILITA’

Meno di 7.000 esemplari prodotti in 5 anni non sono certo il risultato di un successo annunciato; possederne una non è però troppo difficile, perché si trovano ancora esemplari in ottime condizioni ed a prezzi accettabili. A nostro avviso è un acquisto interessante, perché sembra che l’interesse verso questo particolare modello (giustamente) stia crescendo e che, in futuro, le quotazioni siano destinate a salire. Si tratta di un modello che ha fatto la storia, anticipando soluzioni e scelte poi diventate uno standard. Così avanti, da essere più gradevole da guardare oggi, piuttosto che 30 anni fa. Si parte da richieste di attorno ai 4/5 mila euro in su, non meno di 6 mila per un esemplare bicolore rosso/giallo; ovviamente ci sono anche richieste più alte per modelli con pochissimi chilometri o comunque in condizioni perfette. Per le versioni più recenti ci si può trovare di fronte a richieste di 8/9.000 Euro, ma è sempre bene considerare diversi aspetti prima di acquistarne una a quel prezzo. Non ultimo il fatto che di regola il valore storico maggiore, nel tempo, lo acquistano sempre le prime serie, non le ultime. La meno quotata oggi è la Serie “Club” del 1992, prodotta in colore nero e senza i caratteristici fregi colorati. Se è sempre vero a che “al cuor non si comanda”, ognuno potrà fare le proprie valutazioni e portare a casa la moto dei sogni, qualsiasi sia il prezzo richiesto.

 

 

 

 

 

 

 

 

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