Ducati Scrambler, la leggenda che affonda le radici negli anni ’70

Prima icona di libertà su due ruote, poi simbolo di rinascita stilistica e commerciale, la Ducati Scrambler è oggi una delle moto più amate del marchio bolognese, ma la sua storia affonda le radici nei primi anni ’60 e raggiunge l’apice nel decennio successivo. Nata per il mercato americano, è diventata ben presto un fenomeno italiano grazie a un mix vincente di estetica anticonformista, prestazioni grintose e prezzo competitivo.

Dagli USA a Borgo Panigale: il primo progetto “scrambler”

Il primo modello Scrambler Ducati vide la luce nel 1961-62 come 250 cm³ destinata esclusivamente agli Stati Uniti, patria delle moto a metà tra stradali e fuoristrada. La configurazione era essenziale: ruote artigliate, scarico alto, manubrio largo e impianto elettrico ridotto all’osso. Solo nel 1968 nacque la Scrambler “italiana”, dotata del nuovo motore “carter larghi” e di un telaio più strutturato.

Le versioni commercializzate in Italia furono tre: 250, 350 e, dal 1969, anche 450, riconoscibili anche dal colore del serbatoio (giallo, arancio e giallo scuro, rispettivamente). La 450 cm³, pur mantenendo l’estetica delle sorelle minori, si avvicinava alle maxi moto dell’epoca per cilindrata, mantenendo però costi e impegno alla guida più contenuti.

Estetica, marketing e prezzo: le chiavi del successo

Ducati fu maestra nella comunicazione visiva: celebre lo slogan “Potere Ducati”, accompagnato da immagini cariche di libertà e ribellione, spesso con motociclisti in T-shirt e senza casco. Il prezzo d’acquisto, tra 400.000 e 500.000 lire, rendeva la Scrambler più accessibile di molte rivali giapponesi e tedesche, come l’Hercules K125 GS o la Honda 450. L’estetica accattivante e l’anima “off-road light” fecero il resto, spingendo le vendite oltre 50.000 unità tra il 1968 e il 1976.

Motore firmato Taglioni, ma avviamento da temerari

Il cuore pulsante della Scrambler era il monocilindrico progettato da Fabio Taglioni, con distribuzione a coppie coniche e albero verticale. Una meccanica raffinata, ispirata a soluzioni da competizione (come la Norton Manx), che però portava con sé fragilità tecniche, come la delicata testa di biella del 450, e un avviamento a pedale tutt’altro che docile, tanto da generare imprecazioni tra i motociclisti dell’epoca per i frequenti contraccolpi alla pedivella.

Evoluzioni e aggiornamenti

Nel 1973 la Scrambler ricevette un restyling importante: cerchi Borrani in alluminio, nuova forcella Marzocchi con steli scoperti, freno anteriore Grimeca a 4 ganasce, fianchetti in plastica e fanale cromato. Piccoli interventi che resero la moto più moderna senza snaturarne il carattere.

Il legame con il presente

La Scrambler moderna, rilanciata nel 2014, riprende alcuni elementi estetici dell’originale — come il serbatoio sagomato, la sella piatta e il manubrio alto — ma integra tecnologie completamente nuove, a partire dal bicilindrico Desmo e dalle dotazioni di sicurezza. Il design è firmato da Julien Clement, giovane designer che ha saputo coniugare la memoria con l’innovazione, riportando in auge una moto “pop” e dal grande valore affettivo.

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