Hai un’auto diesel? Adesso il pieno ti costa di più, ecco perché

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Il 15 maggio 2025 ha segnato l’entrata in vigore di un nuovo regime fiscale per i carburanti in Italia. Il decreto interministeriale firmato dai dicasteri dell’Economia e dell’Ambiente ha ridisegnato le aliquote delle accise, creando una sorta di gioco a somma zero tra diesel e benzina: da una parte il gasolio diventa più costoso, dall’altra la verde si alleggerisce.

Un piccolo cambiamento nei numeri che fa parte di un disegno più ampio, destinato a modificare gradualmente il panorama della tassazione sui carburanti nel nostro Paese.

Le nuove aliquote: su il diesel, giù la benzina

Dal 15 maggio le accise sulla benzina sono diminuite di 1,5 centesimi al litro mentre quelle applicate al gasolio hanno subito un aumento della stessa entità. Può sembrare una variazione minima, quasi impercettibile per il singolo automobilista, ma dietro questi numeri si nasconde una manovra con ripercussioni di grande portata.

Con il nuovo decreto, le accise sono state rideterminate nelle seguenti misure: 71,34 euro al litro per la benzina e 63,24 euro al litro per il gasolio impiegato come carburante. Queste cifre possono apparire astratte, ma si traducono in cambiamenti concreti alla pompa di benzina.

Per comprendere meglio l’impatto di questo cambiamento, basta fare due calcoli: per un’auto diesel con un serbatoio di 50 litri, ogni pieno costerà circa 75 centesimi in più. Considerando una media di due pieni al mese, l’aggravio annuale per una famiglia sarà intorno ai 18 euro. Cifra che può sembrare contenuta, ma che si moltiplica esponenzialmente per chi utilizza veicoli commerciali o fa della strada il proprio ufficio.

Al contrario, i possessori di auto a benzina godranno di un piccolo risparmio, con circa 75 centesimi in meno per ogni pieno. Una boccata d’ossigeno limitata ma comunque gradita in un periodo di generalizzata attenzione al portafoglio.

Un piano quinquennale per riallineare la tassazione

Il provvedimento entrato in vigore non è un intervento isolato, ma rappresenta il primo tassello di un mosaico fiscale che si completerà nell’arco dei prossimi cinque anni. La tendenza al riallineamento delle accise tra diesel e benzina è parte di una strategia più ampia, concepita per riequilibrare il carico fiscale tra i due principali carburanti utilizzati nel trasporto su strada.

Per decenni, il diesel ha goduto di un trattamento fiscale privilegiato rispetto alla benzina, con accise sensibilmente più basse. Una scelta che ha avuto profonde ripercussioni sul mercato automobilistico italiano, orientando fortemente le preferenze di acquisto verso i motori a gasolio. Tuttavia, il vento sta cambiando.

Questo percorso di riavvicinamento fiscale si inserisce anche nel contesto europeo, dove la tendenza è verso un’armonizzazione delle aliquote. L’Italia, pur mantenendosi ben al di sopra dei minimi stabiliti dalle direttive UE sull’energia (che prevedono aliquote minime armonizzate di almeno 359 euro per 1000 litri di benzina e 330 euro per 1000 litri di gasolio), sta cercando di ripensare la propria imposizione fiscale sui carburanti.

Il piano quinquennale prevede un progressivo incremento delle accise sul diesel e una parallela riduzione di quelle sulla benzina, fino a raggiungere un allineamento quasi totale. Un approccio graduale che dovrebbe permettere al mercato e ai consumatori di adattarsi senza shock improvvisi.

Impatto economico su famiglie e trasportatori

Se l’effetto sulle famiglie che possiedono un’auto diesel può essere considerato limitato, ben diverso è il discorso per il settore dell’autotrasporto. Il diesel rimane il carburante di riferimento per il trasporto merci e l’aumento delle accise si traduce in costi operativi di gran lunga maggiori per le aziende.

Le stime parlano di un costo complessivo di circa 364 milioni di euro annui a carico dei consumatori di gasolio. Una cifra importante che potrebbe innescare un effetto domino su tutta la filiera dei trasporti e della logistica. Non è difficile immaginare come questo possa tradursi in un aumento dei prezzi di molti beni di consumo, contribuendo a un possibile rialzo dell’inflazione.

Alcune associazioni di categoria del settore trasporti hanno già manifestato preoccupazione, chiedendo misure compensative come crediti d’imposta o incentivi per il rinnovo del parco mezzi con veicoli a minore impatto ambientale. La sfida sarà trovare un equilibrio tra la necessità di riforma fiscale e la tutela di un settore fondamentale per l’economia nazionale.

D’altro canto, la riduzione delle accise sulla benzina potrebbe favorire una parziale inversione di tendenza nel mercato automotive, con un rinnovato interesse verso i motori a benzina, specialmente nei segmenti delle auto più piccole e nelle aree con scarsa copertura di trasporto pubblico.

Destinazione dei fondi: trasporto pubblico locale

Un aspetto positivo della manovra riguarda la destinazione delle maggiori entrate derivanti dalla variazione delle aliquote. Queste risorse aggiuntive sono destinate all’incremento del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale.

In sostanza, i soldi raccolti con l’aumento delle accise sul diesel verranno utilizzati per migliorare il trasporto pubblico, con particolare attenzione al rinnovo dei contratti dei lavoratori del settore. Una scelta che potrebbe essere vista come un tentativo di bilanciare l’impatto negativo sui trasporti privati con un potenziamento di quelli pubblici.

Se ben gestito, questo reindirizzamento di risorse potrebbe tradursi in servizi migliori per i cittadini, con autobus e tram più efficienti e frequenti. Un investimento sul trasporto pubblico che, nel lungo periodo, potrebbe anche contribuire a ridurre la dipendenza dall’auto privata, con benefici sia in termini di congestione del traffico che di sostenibilità ambientale.

Tuttavia, rimane da vedere se queste risorse saranno sufficienti per produrre un reale miglioramento dei servizi di trasporto pubblico, soprattutto nelle aree più periferiche del Paese, dove l’offerta è storicamente più carente.

Le accise in Italia: storia, presente e futuro

La storia delle accise sui carburanti in Italia è lunga e complessa. Le prime risalgono agli anni ’30, introdotte dal regime fascista per finanziare opere pubbliche. Nel dopoguerra, l’imposta si è progressivamente rafforzata con incrementi straordinari per far fronte a eventi calamitosi e missioni internazionali.

Oggi le accise sui carburanti sono una fonte di gettito importante per lo Stato, con circa 25 miliardi di euro annui. Un tesoretto a cui nessun Governo ha mai voluto rinunciare, nonostante le periodiche promesse di riforma.

Nel contesto europeo, l’Italia si colloca tra i Paesi con la tassazione più alta sui carburanti, ben sopra la media comunitaria. Il recente riallineamento, pur modificando leggermente gli equilibri tra diesel e benzina, mantiene comunque un gap fiscale importante rispetto agli altri Stati membri.

Guardando al futuro, il piano di riallineamento delle accise dovrà necessariamente confrontarsi con le nuove sfide della mobilità sostenibile e della transizione energetica. La graduale elettrificazione del parco auto porrà interrogativi sempre più pressanti sulla sostenibilità a lungo termine di un sistema fiscale così fortemente basato sui carburanti tradizionali.

In questo scenario di cambiamento, le politiche fiscali sui carburanti dovranno evolversi, trovando un equilibrio tra le esigenze di gettito dello Stato, la tutela dell’ambiente e la necessità di non penalizzare eccessivamente famiglie e imprese.

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