Alfasud, la storia di un’auto rivoluzionaria

Presentata al Salone di Torino del 1971, l’Alfasud incarnava la volontà dell’Alfa Romeo di inserirsi in uno spicchio di mercato fino a quel momento mai esplorato in precedenza, quello che oggi viene comunemente definito segmento C, senza però tradire la vocazione sportiva della Casa milanese. A capo del progetto c’erano gli ingegneri Rudolf Hruska e Domenico Chirico (coadiuvati da un team di eccellenza). Ne venne fuori un’auto innovativa. L’Alfasud è stata la prima vettura a trazione anteriore prodotta dal Biscione.

Montava un quattro cilindri boxer raffreddato ad acqua che, oltre ad avere un ingombro limitato (grazie ai cilindri contrapposti), permetteva di abbassare il baricentro migliorando la tenuta di strada. Le cilindrate variavano dai 1.200 cc ai 1.500 cc. Il cofano basso, in più, garantiva un’ottima visibilità. Le sospensioni anteriori, pur ispirandosi allo schema MacPherson, vennero completamente riviste dagli ingegneri Alfa. Per assicurare la rigidità della macchina, gli ammortizzatori furono fissati al rovescio. I quattro freni a disco completavano la meccanica sopraffina dell’auto.

Produzione Disegnata da un giovane Giorgetto Giugiaro, l’Alfasud è stata commercializzata dal 1972 al 1984, per poi lasciare la scena all’Alfa Romeo 33. Ha legato il suo nome allo stabilimento di Pomigliano d’Arco, appositamente costruito per realizzare la berlina compatta del Biscione, diventando di fatto l’orgoglio dei napoletani. All’inizio gli alfisti duri e puri osteggiavano non poco l’Alfasud, a causa soprattutto dell’adozione della trazione anteriore. Così arrivarono la versione sportiva a due porte (la Ti, Turismo internazionale) e la coupé (Sprint). Venne proposto anche un modello Giardinetta, a tre porte, con una lunghezza maggiorata di 40 cm, ma non ottenne il successo sperato.

Con il tempo, poi, i costi di produzione lievitarono parecchio. Così si decise di tagliare tutto quello che si poteva: si privò la nuova macchina del servofreno (offerto come optional dopo pochi mesi di produzione), della quinta marcia (che avrebbe fatto guadagnare, grazie ai diversi rapporti, qualcosa in ripresa), di finizioni all’altezza del marchio Alfa Romeo (plastica in tutto l’abitacolo, tappetini in gomma e sedili solo in skai). Nonostante una carriera controversa, l’Alfasud ha lasciato una profonda traccia nella storia tecnica e industriale dell’automobile italiana.

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