Harley-Davidson Softail Cross Bones – Test Ride

Il nome “Softail” trae origine dalla sospensione posteriore, basata su un forcellone che ripropone le linee tipiche di un telaio rigido dal sapore vintage, ma grazie all’adozione di un ammortizzatore posteriore sapientemente nascosto garantisce una guida confortevole e fluida. Altrettanto tipica – e ancora più caratterizzante – è la sospensione anteriore, la “Springer”: una struttura a parallelogramma che è ormai abbandonata da molti anni per i suoi limiti fisici e per la scarsa escursione, viene ripresa sulla Cross Bones per il suo fascino retrò e per le molle in bella vista che danno il nome alla forcella. Un tipo di sospensione adatto ad andature tranquille.

Motociclista, siediti e accelera
La seduta è comoda sia per la sella dalle dimensioni generose, sia per la triangolazione equilibrata fra sedere, gambe e braccia. Un’impostazione soft e non estrema anche perchè l’unica cosa estrema che c’è sulla Cross Bones è la sensazione di rilassatezza che si avverte stando seduti in sella.

Chiavi in tasca
Bello scoprire come le più recenti tecnologie abbiano saputo modernizzare un mito del motociclismo che della tradizione ne fà una bandiera, specialmente su mezzi come la Cross Bones. Esattamente come sulle più lussuose berline, infatti, la chiave non va inserita da nessuna parte ma permette l’avviamento del V-Twin semplicemente tenendola in tasca. E’ sufficiente ruotare il grosso interruttore posto sul lato destro della moto e premere il pulsante “Start”.

Strana…ma riuscita!
Appena partiti sulla Cross Bones, le prime sensazioni mettono a disagio: la forcella Springer rende al guidatore delle sensazioni strane, difficili da interpretare anche a causa della tendenza a non affondare durante la prima parte della frenata. Ma basta davvero poco per abituarsi e cominciare a farla dondolare fra una curva e l’altra con le terga accomodate sui molloni della sella “Old style”. Il Twin Cam da 1.584 cc spinge in modo corposo ed è difficile metterlo in crisi anche aprendo completamente la manetta dai bassi regimi: il grosso bicilindrico borbotta pochi attimi e poi comincia ad erogare la potenza in modo fluido e costante. Non ha senso strizzare la manopola a lungo, la coppia è molto bassa quindi si possono snocciolare le 6 marce una dopo l’altra. Non sempre preciso il cambio ma abbastanza morbido negli innesti. Quando cominciano le curve, la Cross Bones si lascia maneggiare con facilità ma appena si scende un po’ di più le pedane grattano rumorosamente l’asfalto tanto che – le prime volte – spaventa un po’ anche per le vibrazioni improvvise che trasmettono ai piedi del pilota. Dopo poco, comunque, diventa quasi un divertimento e un vezzo da “rebellious biker”, perfettamente in stile con la Cross Bones. Peccato per il freno anteriore che – con un solo disco – meriterebbe un po’ di mordente in più specialmente accoppiato al posteriore che tende a bloccare.

Complessivamente, dimostra un equilibrio raro, nonostante le tante specificità riunite insieme che comunque le donano un carattere che difficilmente si trova in altre moto di serie. 19.700 euro non sono pochi – anche se in linea con il listino Harley – ma danno la possibilità di avere una moto unica capace di distinguersi dal mucchio.

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