Ma se avessi una Ducati 1199 Panigale!

È passato ormai più di un anno e mezzo da quando gli appassionati di moto, sportive e non, hanno cominciato ad interrogarsi e sognare la Ducati 1199 Panigale.
Svelata all’Eicma 2012, tutti sono rimasti subito colpiti dalle linee aggressive e sensuali, dalla grandezza compatta e soprattutto da quel tripudio di potenza, controllo ed elettronica che è subito emerso dalle pagine di tutti i giornali e siti specializzati.
Si è cominciato a parlare dei suoi 195 cavalli per 164 chilogrammi a secco, del fatto che è sparito il telaio, sostituito direttamente dal motore con funzione portante, in aggiunta a tutti i discorsi che già si facevano su ABS e Traction Control in pista, ora arricchiti dalle domande sulle sospensioni elettroniche e sul freno motore elettronico.
Indubbiamente il motociclista appassionato delle domeniche in pista, ma anche il tranquillo centauro che scorazza avanti e indietro da casa all’ufficio, hanno cominciato ad immaginarsi tutti avvolti di pelle, schiacciati col petto su quel risicato serbatoio, lo sguardo attraverso il plexyglass che vede i cordoli scorrere veloci come le guide della pellicola in un proiettore ed il piede che butta dentro marce, mentre il polso rimane piegato a martello, scatenando l’ira di Dio di potenza su una Pirelli Supercorsa da 200 mm.

Abbiamo già parlato di questa moto e quando la provammo per questo test ride, decretammo senza possibilità d’appello che qualsiasi utilizzo della Panigale, al di fuori della pista, secondo noi, era un uso improprio; che sì, forse 24.190€ non sono un budget a disposizione di tutti, ma che la qualità costruttiva e le performance che garantisce la Panigale S, giustificano il costo per chi ama veramente questo sport e cerca una Superbike che, già senza modifiche, fa abbattere i tempi di qualche secondo.
La gran parte degli appassionati aspetta che si generi l’usato, per cercare di risparmiare un po’, mentre nei circuiti ed in molti trofei, la regina di Borgo Panigale ha cominciato a dire la sua in mezzo a tutte le altre moto.

Ma veramente basta un mezzo più avanzato per migliorare i propri tempi? Veramente l’elettronica impedisce di cadere e salva da qualsiasi errore? E cos’altro potrebbe succedere se un pilota della domenica, una bella mattina, quando, aprendo il garage per caricare la moto sul furgone e andare a farsi la sua giornata tra i cordoli, trovasse parcheggiata una Panigale invece del suo vecchio “ferro da pista”?

Le prime differenze si notano quasi subito: non appena arrivati nel piazzale di Vallelunga parcheggiamo col nostro furgone e, se di solito, nello scaricare la moto, si riceve appena un’occhiata dei presenti che vogliono verificare quale altra moto ci sia in pista, questa volta lo sguardo sulla Panigale rimane più a lungo e scatena commenti e curiosità, forse in alcuni invidia.
Chi va avanti e indietro per i paddock, non resiste a darle un’occhiata, a girarle un po’ intorno e magari a lanciare qualche “complimenti per la moto”.
Non appena sono state sbrigate le formalità di registrazione, infilata tuta, stivali e paraschiena, comincia la parte che indubbiamente differenzia la Panigale da tutte le altre moto.
Innanzitutto scegliamo la mappa che useremo in pista, ovviamente la “Race”, che eroga la massima potenza con la massima aggressività; scelta la mappa, ora va configurata.
Accediamo quindi al menù delle impostazioni tramite la strumentazione e, sul display, compaiono uno sproposito di categorie: ABS, DQS, EBC, DTC, regolazione sospensioni, regolazione display… sembrano i settaggi di un videogioco per maniaci della MotoGP, quei giochi in cui, volendo, potresti passare un intero pomeriggio solo a fare le regolazioni per la gara che non disputerai perché, nel frattempo, s’è fatto troppo tardi.
Dopo essere entrati in ogni menù ed esplorata ogni possibile variazione che si potrebbe apportare, siamo tentati di dare un paio di click alla compressione, sempre mediante i comandi sul manubrio, ma poi decidiamo di tenere il setting della casa: inutile infatti fare cambiamenti a priori, senza aver prima verificato se effettivamente siano necessarie o meno.
Così, forti del fatto che comunque possiamo uscire di pista in qualsiasi momento e fare gli aggiustamenti necessari senza neanche scendere di sella, decidiamo di lasciare tutto com’è e di metterci in pista per cominciare a vedere effettivamente come vada.

Un gruppo di centauri si accalca sulla pitlane, pronto a far ruggire i propri motori; c’è qualsiasi tipo di moto, dalle naked di serie, alle supersportive radiate ed arricchite con decine di pezzi specifici per la pista: carene in vtr, transponder per i tempi, cambi elettronici rovesciati, impianti frenanti maggiorati e scarichi talmente aperti che se ci guardi dentro puoi vedere l’interno del motore. Quasi tutti si girano a guardare la Panigale nuova di concessionario che, con tanto di frecce e specchietti, quasi chiude il piccolo corteo; qualcuno sembra guardare la moto con interesse, puoi leggergli la passione sotto la visiera, mentre nel casco di altri, si può tranquillamente intuire, dall’espressione, il pensiero che fanno : “tanto appena in pista ti faccio vedere io a te, altro che Panigale!”.
Si apre la pista, i commissari controllano le moto e le fanno entrare una ad una: si comincia.

I primi giri, oltre che per scaldare le gomme e ricordarsi traiettorie e punti di riferimento per le frenate, li usiamo anche per prendere confidenza con l’elettronica e cercare di notare se e come questo influisca nella guida. Il cambio elettronico, appare evidente come funzioni, nel far salire le marce si buttano dentro semplicemente tirando su il piede, senza tirare la frizione né chiudere il gas ed il gioco è fatto, le marce vanno su fluide e precise.
Più difficile valutare l’effetto del traction control e dell’ABS che, se non si arriva a guidare con un po’ più di “ritmo”, è difficile che intervengano.
Intanto però, prendiamo l’abitudine di lampeggiare ogni qual volta passiamo sul traguardo, di modo che sul display entri in funzione il cronometro digitale, molto visibile in modalità Race, che riparte ad ogni passaggio sul traguardo, con conseguente lampeggiata, mantenendo poi tutti i tempi dei giri; certo, non è un sistema affidabile al centesimo, ma per chi sta lavorando per migliorare i tempi, è comunque un prezioso aiuto per poter poi controllare i propri progressi.

Fatti i primi giri di riscaldamento, cominciamo a voler far scendere i tempi presi, aprendo più decisamente il gas e cominciando a ritardare le frenate a colpi di cinquanta metri.
Quelli più bravi, quelli che rimpiangono di non aver avuto i soldi per poter gareggiare e sfogano quindi le loro velleità in pista, viaggiano con ritmi impressionanti e sfilano, di solito in trenini composti da due o tre moto, senza lasciare neanche il tempo di averli sentiti arrivare.
Incontriamo spesso anche piloti alle prime armi, con moto che si sentono a proprio agio in pista, come una donna “cicciottella” sulla passerella con le finaliste di miss Italia: ma anche questi non costituiscono un pensiero, dal momento che di solito lasciano la traiettoria migliore per far passare chi sopraggiunge – sono sempre tesi, infatti, a pensare più a chi arrivi da dietro che non al circuito che sta davanti – o, nella peggiore delle ipotesi, basta aspettare la prima staccata per superarli agilmente e buttarsi in curva decisi.
Ci sono poi, però, pure quei piloti che sono una via di mezzo, quelli che girano con buoni tempi, ma ancora non hanno fatto quello step in più per accodarsi ai trenini di quelli più veloci, quelli, insomma, che girano più o meno come noi e che, quindi, rappresentano i sorpassi più difficili, perché si è costretti a forzare il proprio limite attuale per fare qualcosa in più, per potersi mettere dietro la moto che un po’ ci tappa e un po’ ci ridistanzia.

Giro dopo giro, cominciamo a prendere maggiore confidenza ed il fatto che i tempi, invece che migliorare di sei o sette secondi a volta, come all’inizio, cominciano ad abbassarsi di alcuni decimi di secondo soltanto, significa che siamo quasi giunti al nostro limite e che ora, capiremo se la Panigale ci farà fare quello scatto in più. Nonostante continuiamo a prendere i tempi, l’attenzione la spostiamo sulla strumentazione e sulla pista, per cercare di spingere ancora un po’ di più.
Arrivati a questo punto, tornano utili i compagni di corsa che girano con i nostri tempi ed hanno i nostri stessi riferimenti in staccata.
È in questa fase che cominciamo a vedere gli effetti della Panigale, tanto in risposta all’aumento di performance richiesta, tanto nell’effetto psicologico sugli altri “pistaioli”.
Nel dover superare un pilota che guida, più o meno, come noi, si può staccare dopo, aprire il gas prima o fare tutte e due le cose, ma per farlo, bisogna stare attenti ad aver preso la traiettoria giusta e, soprattutto, si deve vincere quella parte di cervello che comincia a gridare: “Hey, sei andato oltre il limite, moriremo tutti!!!”.
Bocca serrata, fiato sospeso e cuore che s’arresta nel momento in cui il pilota davanti a noi drizza il busto e si attacca ai freni, mentre noi siamo ancora in carena, e solo quando l’abbiamo visto sfilare all’esterno del campo visivo, facciamo la stessa cosa e preghiamo di non aver esagerato con la staccata. Il trasferimento di carico è importante, sentiamo un gran peso sui polsi, leggermente piegati a causa dei semimanubri molto bassi, la moto si punta e comincia una decelerazione impressionante e, quando si mollano i freni per buttarsi nella piega, si sente il cuore arrivare in gola e l’asfalto sempre più vicino alla visiera che staziona a fianco del cupolino.
La prima parte, la frenata, è andata bene, l’abs ha funzionato senza dare fastidiosi feedback su leva e pedale del freno e, nonostante il rifiuto da parte del cervello, vediamo che il limite della Panigale, in questa circostanza, è ben oltre il nostro e, soprattutto, del pilota appena superato; ora però viene la seconda parte, quella in cui si apre il gas.
Arrivati alla corda, con il pilota appena superato che ci sta attaccati alla coda, dobbiamo cominciare a dare gas, operazione che di solito viene svolta con una certa attenzione, mentre questa volta, forzando nuovamente i sistemi di sicurezza della nostra mente, ci imponiamo di ruotare la manopola in modo più energico.
Il corpo è teso a percepire ogni singola variazione d’assetto della moto, mentre sul display lampeggia la spia gialla che avvisa che il traction control sta facendo egregiamente il suo lavoro e, se non avessimo buttato un occhio al display, non ci saremmo mai accorti del suo intervento, convincendoci di essere diventati dei veri maestri di sensibilità, nel trovare il limite dell’apertura del gas.
Tecnicamente, quindi, c’è ben poco da rimpiangere i carburatori, perché i risultati sono sensibili e si rendono evidenti quando usciamo per riposarci e andiamo a rileggerci i tempi sul giro.
La cosa più interessante, quella che forse ancora nessuno ha notato, è l’effetto psicologico della Panigale.

Già il suono che emette la Panigale, quando si comincia a tallonare qualcuno, è evidente che eserciti un effetto psicologico, dal momento che si ha l’impressione di avere dietro un mostro che urla rabbioso. A parte questo, è curioso vedere come la categoria di quelli con cui ci confrontiamo, possa essere divisa in due sottocategorie: quelli che ci sformano e quelli che ti adorano a costo della propria vita.
I primi sono quelli che, già avendoci visti scaricare la moto, hanno pensato che saremmo stati il loro obbiettivo, si sono convinti che siamo dei ricchi parvenu del mondo della pista, che non meritiamo una moto così bella e che ce lo dimostreranno “sverniciandoci”. Così, li vedi che decidono di staccare dove stacchiamo noi e di non mollare i freni, ma subito dopo, come vedono sfilare il loro riferimento, si attaccano ai freni, spesso si scompongono e qualche volta sono finiti nel ghiaione o sulla via di fuga asfaltata, perdendo cinque anni di vita per lo spavento, oltre alla velleità di dimostrare al mondo quanto siano bravi… e non perché non sia vero che lo siano, ma effettivamente la Panigale consente quel qualcosa in più, elettronicamente ed in termini di sicurezza mentale del pilota, che non gli consente di tenere il passo.
Più belli e divertenti sono gli entusiastici, uno per tutti: è ormai più di un giro che veniamo seguiti da un’altra moto, non sembra voler superare, ma comunque non schioda dalla sua posizione. Allora decidiamo di allungare un po’, semplicemente frenando leggermente dopo, ma, nonostante l’inseguitore perda un po’ di terreno in curva, poi mette a dura prova il motore per riavvicinarsi alla staccata successiva. Un breve rettilineo con una curva a destra, sentiamo la moto inseguitrice che urla impazzita e quando arriviamo a lasciare il gas per attaccarci ai freni, finalmente ci affianca in esterna e riusciamo a darle un’occhiata: su una moto giapponese sta, sol busto sollevato, un pilota che ci guarda, noncurante della curva ormai prossima e, con un gesto di folle entusiasmo, stacca la mano destra dal semimanubrio per cominciare ad agitare il pollice sollevato, come a dire “hai una moto fantastica”… peccato che subito dopo, mentre ci buttiamo in piega, lo seguiamo con la coda dell’occhio e lo vediamo buttarsi sui semimanubri ed attaccarsi ai freni, finendo, comunque, nella via di fuga asfaltata, mentre i giudici già danno la bandiera gialla scuotendo la testa.

Se quindi, a fine giornata, rimaniamo convinti che la 1199 Panigale sia una moto perfetta per la pista, talmente “customizzabile” negli aiuti di guida da poter andar bene tanto al semineofita, quanto all’esperto che può decidere di disabilitare o regolare l’elettronica.
Ma la cosa forse più interessante di questa moto, è vedere quanto realmente possa essere uno strumento per acquisire fiducia e spostare un po’ più in là i propri limiti, avvalendosi anche di una componente psicologica che, indipendentemente dal prezzo, ben poche supersportive possono offrire.

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