L’atteso via libera è arrivato: il Consiglio Economia e Finanza dell’Unione Europea (Ecofin) ha approvato il piano del Governo italiano che prevede l’impiego di fondi del PNRR per sostenere i nuovi incentivi auto 2025. Un passaggio fondamentale, considerato che si tratta di risorse inizialmente destinate alle infrastrutture di ricarica elettrica pubblica.
Secondo quanto riportato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, i fondi riassegnati ammontano a 1,2 miliardi di euro, destinati a due linee strategiche: da un lato lo sviluppo dell’economia circolare dei rifiuti, dall’altro gli incentivi per l’acquisto di auto a basso impatto ambientale.
Sebbene manchi ancora l’ufficialità, fonti vicine al Ministero della Transizione Ecologica indicano che solo le auto elettriche potrebbero rientrare nei nuovi incentivi, escludendo dunque ibride e plug-in. Una scelta coerente con l’orientamento europeo verso l’elettrificazione totale del trasporto leggero, ma che potrebbe riaccendere il dibattito sull’effettiva accessibilità economica delle vetture full electric.
Al momento non è ancora disponibile un calendario ufficiale per l’apertura delle richieste. Il rischio concreto è che, complici l’iter dei decreti attuativi e la pausa estiva della macchina amministrativa, gli ecobonus auto 2025 possano partire non prima di settembre. L’esperienza del 2024, in cui le risorse per le elettriche si sono esaurite in poche ore, alimenta un clima di attesa e incertezza tra cittadini e operatori del settore.
In assenza di dettagli ufficiali, si guarda al precedente schema di incentivi come possibile base di riferimento. L’ecobonus 2024 prevedeva tre fasce, con la più generosa (0-20 g/km di CO2) che offriva fino a 13.750 euro di sconto per l’acquisto di un’auto elettrica, a condizione che il prezzo non superasse i 42.700 euro IVA inclusa.
Resta da capire se questo nuovo pacchetto di incentivi rappresenti un intervento una tantum o l’inizio di una strategia strutturale di sostegno alla mobilità a zero emissioni. L’utilizzo dei fondi PNRR, infatti, lascia poco margine per interventi replicabili in futuro, richiedendo già da ora una riflessione più ampia sulle politiche di lungo periodo.