Ducati Diavel: una lunga prova per scoprire se la maxi bolognese veramente meriti il titolo infernale

Simpathy for the Diavel
Parliamoci chiaramente: chi è appassionato di moto e segue i modelli che, di anno in anno, vengono lanciati, è abituato a vederne di ogni tipo; di moto che hanno fatto scalpore per forme e contenuti mai visti prima, ce ne sono state più d’una. Questo da una parte comporta che ci si scomponga sempre meno quando arriva una “presunta novità assoluta”, e d’altro canto si sa che quelle poche che effettivamente riusciranno a stupire, saranno destinate ad avere il ruolo di emblema di un’intera decade.
Quando comparve il Monster, appunto, i bar dei motociclisti (antenati dei forum) si animarono con disquisizioni degne di un critico d’arte a proposito della linea e spuntarono migliaia di ingegnerucoli che si lanciavano in fantasiose teorie che dovevano ora dimostrare che fosse una gran cavolata di moto, ora la più bella ed efficace mai vista prima.
Anni fa, a Borgo Panigale, decisero appunto di voler creare una nuova moto che segnasse il passo coi tempi, che dividesse il pubblico di appassionati e, possibilmente, che attirasse l’attenzione anche di nuovi utenti delle due ruote; ovviamente sapevano bene che non bisognava correre il rischio di fare una moto, magari “strana” esteticamente, che non fosse radicalmente innovativa nel panorama delle moto, ormai molto vasto in quanto a tipologie di segmento.
Si partì da zero, immaginando di voler definire un altro tipo di sportività, si volle cercare di unire comfort, prestazioni ed estetica tutte insieme, attingendo conoscenze dal mondo delle corse ed utilizzando la miglior elettronica disponibile e, se necessario, fare un patto col diavolo per riuscire nell’impresa.
Il risultato è proprio il Ducati Diavel (il cui nome presumiamo sia un riconoscimento a colui con il quale hanno stipulato un accordo): una moto che molti hanno frettolosamente etichettato come “strana” o “troppo ingombrante”, senza aver però studiato attentamente questo veicolo.
Inutile a dirsi che noi, abituati a nuove moto sempre uguali a se stesse che girano in un caledoscopio di rimandi autoreferenziali, ci siamo subito invaghiti di questa specie di toro meccanico e subito, il Diavolo, ha conquistato la nostra simpatia, già da quando abbiamo fatto il nostro test alla presentazione ufficiale.
Da allora molti esemplari sono stati venduti, sia nella colorazione rossa che nera, ed anche nella versione Carbon, con un prezzo di 16.990 € per la versione base e 19.990 € per quella Carbon.

Un Diavolo per cavallo
Una stanza buia, un pentacolo di candele e tutti gli ingegneri Ducati, di rosso vestiti, là intorno: così ci immaginiamo il momento in cui il Diavel prese effettivamente vita, come concept di moto. Alla stessa maniera ci piace immaginare che dopo numerose evocazioni e riti segreti a base di resine e olii, con un botto sordo ed una nuvola di zolfo, sia apparso un mefistofelico Gabriele Del Torchio, amministratore delegato Ducati, al cui cospetto tutti si siano prostrati.
Miei seguaci, dopo tanto aver invocato, vi darò ciò che chiedete”, potrebbe aver detto il satanasso emerso dal girone dei manager infernali.
Con il beneplacido del demoniaco industriale, si è potuti passare alla fase della progettazione. Una certezza già aleggiava placida sulle teste di tutti: il motore non c’era bisogno di farlo da zero. Disponendo, infatti, a Borgo Panigale, del bicilindrico Testastretta 11°, che allestisce le migliori purosangue della casa, non si poteva sbagliare mettendolo al centro della creazione del Diavel.
Il motore della 1198, infatti, arriva a disporre di 162 Cv a 9.500 giri ed elargisce una coppia fino a 127,5 Nm a 8.000 giri. Numeri veramente stratosferici se abbinati ad una moto che, a guardarla, sembra una custom che ha fatto un full immersion di body building con Arnold Schwarzenegger.
Mai giudicare un libro dalla copertina, è il caso di ribadire, visto che il propulsore porta la moto ad oltre 250 Km/h effettivi, con un’accelerazione, da 0 a 100, di soli 3,13 secondi, un record non solo per la categoria.
Tanta potenza, però, è stata imbrigliata con il sistema dei Riding Mode, di modo che se si volesse girare placidamente in città o senza spaventare il passeggero, si può mettere la modalità Urban, che limita a 100 i cavalli erogati, mentre se si volesse più potenza si può mettere la modalità Touring, che eroga 162 Cv, ma con dolcezza. Se invece voleste proprio vedere di cosa è capace una creatura infernale, allora nella modalità Sport avrete tutti e 162 i cavalli e tutti imbizzarriti fin dai bassi regimi, pur senza correre eccessivi rischi in staccata, grazie alla frizione in bagno d’olio con funzione antisaltellamento.

Una ciclistica fuori dagli schemi
Per consentire al Diavel di avere l’aspetto di una cruiser muscolosa, con un motore sportivo di prima qualità, si è dovuto, inevitabilmente, adottare una ciclistica di primo livello, soprattutto nel reparto freni.
Il telaio doveva essere in grado di resistere al meglio alle forze torsionali e la soluzione Ducati è inevitabilmente un traliccio di tubi in acciaio, con due fiancate in alluminio ed una parte centrale in tecnopolimeri, collegato al bellissimo forcellone monobraccio in alluminio fuso, lungo ben 635 mm.
Anteriormente una forcella Marzocchi completamente regolabile, con steli da 50 mm, mentre al posteriore un monoammortizzatore completamente regolabile Sachs.
Come già accennato, per fermare questo bestione (poi neanche troppo bestione, considerato che pesa 210 Kg nella versione normale e 207 Kg in quella Carbon) ci voleva un impianto frenante al top: detto, fatto!
Troviamo così, all’anteriore, una pinza radiale a 4 pistoncini su doppio disco da 320 mm, tutto della Brembo, mentre al posteriore una pinza a due pistoncini su disco da 265 mm.
La sella molto bassa, 770 mm dal suolo, e l’interasse lungo, 1.590 mm, permettono sia un buon controllo sulla massa del veicolo da fermo, sia che questo sia poco propenso agli high side e che, nonostante l’eccessiva potenza che potrebbe arrivare alla gomma posteriore, si dilunghi in una derapata, piuttosto che con un secco colpo di reni vi lanci in direzione casuale a 24 metri di distanza.
La gomma, infine, non può sfuggire neanche al più miope degli osservatori.
La Pirelli ha appositamente sviluppato per il Diavel (di cui rimane l’unico fornitore) la gomma posteriore da 240 mm, Diablo Rosso II, attingendo alla tecnologia SBK e arrivando poi a sviluppare il nuovo pneumatico anche nelle dimensioni più tradizionali, capace di coniugare grip da performance e durata, tanto in asciutto che sul bagnato, come riportato nel nostro articolo a tal proposito.

Elettronica che scatena l’inferno
L’amarcord dei diavoloni con forcone e piede caprino non rispecchia più la realtà di questi tempi, così come una moto senza elettronica non può ambire a prestazioni mozzafiato o a catalizzare l’attenzione dei più. I diavoli di oggi sono ingegneri al limite dell’autismo che inventano soluzioni ardite (che solo loro riescono a capire pienamente) per sconfiggere le obsolete leggi della fisica e far sì che una moto che, in teoria, non dovrebbe muoversi, sia invece capace di districarsi sul misto come un Monster.
Ovviamente il Diavel dispone dell’ABS Ducati, disinseribile seguendo il menù sul futuristico display a colori TFT. Oltre al sistema di antibloccaggio della frenata, dispone anche dell’ormai celebre DTCDucati Traction Control – che viene automaticamente tarato a seconda del riding mode scelto o, volendo, può essere impostato manualmente secondo le proprie esigenze, se non addirittura disinserito completamente.
Se fosse vera la nostra ipotesi, secondo cui il diavolo con cui la Ducati ha stretto un patto è Gabriele Del Torchio, avremmo trovato l’artefice del sistema di accensione senza chiave, denominato Hands Free.
Il Diavel, infatti, come il Multistrada, non ha un blocchetto d’accensione tradizionale, bensì una chiave elettronica da tenere in tasca, che trasmette un segnale alla centralina e consente l’accendimento, lo spegnimento e l’inserimento del bloccasterzo.
Il sistema, da vero principe dei manager, strizza l’occhio al mondo parvenue della moto, forse stridendo un po’ con l’anima tutt’altro che “incravattata” del Diavel.

A spasso col Diavolo
Fin qui tante chiacchiere, ma ora viene il bello.
Abbiamo più volte detto che il Diavel non lo si può giudicare da una foto o con un carico di preconcetti a portata di mano, bisogna essere aperti di mente e pronti allo stupore.
Non è stupore quello che proviamo quando mettiamo in moto il Diavel, piuttosto una sensazione di compiaciuto timore quando le camere di combustione del cilindro si mettono a produrre un rombo baritonale che fa allargare un sorriso sul volto di chi vi siede sopra.
In modalità Urban ci troviamo subito a fronteggiare le insidie della città, con il timore di rimanere incastrati tra le macchine non potendo seguire le altre moto: appunto il nostro timore viene subito smentito e il Diavel dimostra di sapersi districare facilmente nel traffico.
Nel lasciare le zone urbane per dirigerci sul luogo del test, passiamo, con la moto in movimento, alla modalità Touring: si sente subito la differenza di potenza ed il suono stesso si fa più aggressivo.
Nel percorrere tangenziali ed autostrade si può godere di una seduta estremamente comoda, anche ben protetta dall’aria se non si superano i limiti di velocità, mentre osando velocità superiori ai 130 km/h, la protezione risulta scarsa e non si riesce a sfruttare la piena potenza del Diavel senza sentirsi strappare le braccia.
Arrivati sul nostro percorso, la tortuosa strada che da Santa Marinella, vicino Civitavecchia, si inerpica per le colline della Tolfa, mettiamo la modalità Sport e cominciamo ad aggredire la strada. L’impennata verrebbe facile, nonostante l’interasse lungo, e lo scatto è veramente impressionante. Quando si arriva alla prima curva degna di questo nome si riesce ad inserire la moto con una certa facilità, rimanendo stupiti sia dallo pneumatico (che se non sapessimo essere un 240 mm, diremmo essere un 190 mm) ed in generale dalla facilità con cui il Diavel cambia direzione. Il misto stretto ovviamente la mette un po’ in difficoltà, ma non più di quanto non metta in difficoltà una qualsiasi sportiva.
Nelle mappe Touring e Sport l’inserimento della prima risulta un po’ duro e con un rumore deciso che le prime volte fa pensare a qualcosa che non vada; a parte la prima, il cambio è abbastanza morbido e sempre preciso.
Indubbiamente molto dell’entusiasmo che si prova nel guidare il Diavel deriva proprio dall’abbattimento dei preconcetti che si hanno quando ci si sale: si rimane talmente stupiti nel vedere una moto così diversa da quelle che conosciamo, che riesce a tenersi dietro delle supersportive sulle statali, che la gioia che si prova è ancor maggiore.
Il fatto che non ci si stanchi particolarmente, poi, grazie alla seduta, alla posizione della schiena e alle braccia che non vengono caricate dal peso del corpo, rende ancor più divertenti le uscite. Anche i preconcetti sull’elettronica vengono facilmente abbattuti: chi non ha mai sentito qualcuno affermare “Ah, guarda, io sono ancora per i carburatori, figuriamoci l’elettronica!”. Ebbene, si sbagliano! L’elettronica made in Ducati non è mai invasiva, efficacissima nell’evitare incidenti e nel regalare la possibilità di maggior divertimento, magari imparando a disegnare delle belle virgolone sull’asfalto… senza contare poi che tutta l’elettronica è disinseribile.
Qualche piccolo difettuccio gliel’abbiamo trovato, però.
Innanzitutto la mancanza della segnalazione livello carburante. Su una moto che dispone di ben due display che riportano le più disparate indicazioni (velocità, contagiri, orologio, temperatura acqua, indicatore marcia inserita, temperatura aria, voltaggio batteria, contachilometri trip 1 e 2, km percorsi in riserva, consumo istantaneo e consumo medio, velocità media, durata viaggio, indicatore manutenzione preventive, indicatore e pannello di controllo Riding Modes, DTC, RbW e ABS, oltre alle spie di segnalazione del folle, delle frecce, del proiettore abbagliante, del limitatore, DTC, ABS, pressione olio e riserva carburante), forse lo spazio per mettere l’indicatore del livello carburante, si poteva trovare. Come forse si poteva pensare ad uno spazio sottosella capace di ospitare un bloccadisco e qualche altro oggetto d’utilizzo quotidiano, essendo questa, in fondo, una moto destinata agli spostamenti urbani ed ai viaggi e non alla pista.
Sono in fin dei conti, peccati veniali, di non grande importanza rispetto all’enorme divertimento che il Diavel regala… e poi, ricordiamolo bene: il Diavel fa le pentole, ma non i coperchi.

Abbigliamento usato nel test:
Casco: X-Lite X-802
Giacca: Alpinestars Radon Air
Pantaloni: Alpinestars Helix Kevlar
Guanti: Alpinestars SPS
Scarpe: Alpinestars Afrika GTX XCR

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