Uber cambia strada: l’AD Travis Kalanick lascia la compagnia da 70 miliardi

La connettività, vero leitmotiv dell’ultimo decennio, ha cambiato radicalmente il mondo degli affari sia per chi c’era prima che per chi è arrivato dopo. Inventare un’applicazione capace di fatturare milioni di euro in pochi mesi è diventato -apparentemente- semplice, anche se allo stesso modo il rischio di fallimento è andato a moltiplicarsi. Questo, principalmente, perché la vendita un servizio non è mai un’esclusiva di chi lo eroga, senza contare che non si tratta di prodotti dal valore tangibile nell’ordine delle materie prime.

Uber non fa eccezione, anzi. La compagnia di Travis Kalanick, fondata nel 2009 e passata all’App Store l’anno successivo, ha visto un successo vertiginoso nel giro di una manciata d’anni. Tralasciando la genialità dell’idea, a rendere Uber un colosso dell’industria è stato l’iniziale disinteresse da parte delle autorità che gestiscono i trasporti, troppo pigri nell’inquadrare la società californiana e regolamentarla da subito.


In Italia
ne sentiamo parlare da quando i tassisti si sentono minacciati, ma in altri paesi -e non solo gli Stati Uniti- Uber è una certezza nei momenti di difficoltà. Come lo è il suo direttore per le testate scandalistiche, che hanno sempre avuto la possibilità di scrivere sul famigerato Travis Kalanick: l’Amministratore Delegato del gruppo è stato più volte accusato di trattare i propri dipendenti senza un minimo di rispetto e, cosa ancora più grave, di molestie sessuali in ambiente lavorativo. Tralasciando gli scandali di costume, Uber si è più volte trovata ad agire fuori dalle regole, dalla concorrenza sleale nei confronti della Lyft a Greyball, passando per i sistemi illeciti atti a sabotare il controllo Apple.

Ad ogni modo la società basata a San Francisco ha recentemente licenziato 20 dipendenti a lungo indagati per molestie sessuali, e la notizia riportata dal New York Times su di un congedo da parte di Kalanick nei confronti della società ha trovato presto riscontro. Il numero uno si è dimesso dopo aver ricevuto una lettera piuttosto esplicita da parte dei principali azionisti, che gli hanno chiesto di farsi da parte per evitare un disastro finanziario.

 

Oltre all’AD lasciano il presidente Emil Micheal, anche in questo caso indagato per molestie, ed altri componenti alle alte sfere. Questo cambio di rotta è anche dovuto al fatto che Uber potrebbe presto entrare in borsa, con una quotazione stimata attorno ai 70 miliardi di dollari. Parliamo comunque di dati solo in parte significativi: secondo diversi analisti finanziari l’azienda avrebbe grande valore commerciale nonostante utili prossimi allo zero.

Travis Kalanick ha salutato l’azienda parlando di un lungo periodo di aspettativa, dovuto in parte alla recente morte della madre durante un viaggio in barca a vela: “Amo Uber più di ogni altra cosa nel mondo” ha scritto l’ormai ex Amministratore Delegato “e in questo difficile momento della mia vita personale ho accettato la richiesta degli investitori di farmi da parte, per garantire che Uber possa rimettersi a costruire invece che essere distratta da un’altra battaglia”. Tempi bui per il presidente, vedremo se sarà lo stesso per la società.

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