Mini Cabrio: Test Drive

Mini Cabrio: Test Drive. Olbia – Ehi, parlo a voi, egocentrici che non siete altro! Voi, che se passano più di tre minuti senza che qualcuno vi degni di uno sguardo, soffrite e vi macerate dentro. Qui c’è pane per i vostri denti. Qualcosa su cui salire e da guidare, naturalmente, ma che vi trasformerà subito in una calamita di sguardi altrui, commenti, domande, sorrisi e ammiccamenti. E’ lì, azzurrina pallida, che aspetta di essere messa in moto. E’ una Mini, e già di per sé basterebbe. Ma questa è speciale, perché ha perso la testa: è la versione cabrio della Mini. Dal 1959, quando nacque questo diavoletto su ruote, non se ne era mai vista una (almeno in veste ufficiale, perché gli artigiani inglesi, nelle loro magiche botteghe, a qualcuna avevano già segato il tetto).
E’ sempre lei Mattina di luglio, aeroporto di Olbia. Le Mini cabrio sono tutte in fila per la presentazione nazionale targata BMW e la prova su strada. Un accompagnatore turistico perde le staffe quando metà del suo gruppo molla valige e borsoni da mare, se ne frega del pullman dell’albergo in attesa, e guarda oltre la bassa siepe quelle mitiche macchinine. Non solo perché sono arancioni, verdi e azzurre, ma perché sono diverse dal solito. Chiuse sono chiuse, ma la capote è in tela (nera, blu o verde), e la silouette è leggermente cambiata: un po’ più tozza della berlinetta chiusa, perché non si possono fare miracoli e un tetto retrattile, con montanti e meccanismi vari, non può essere sottile come quello fisso. Ma l’insieme è sempre quello: occhioni rotondi, bocca un po’ da rana, carrozzeria corta corta (3,63 metri), rotondeggiante, quel parabrezza quasi verticale, mai cambiato in quarant’anni. Sempre lei. In tutto e per tutto la Mini dell’anno 2001, quello del ri-lancio in stile retro-hi tech voluto dal gruppo BMW.
Svolta epocale in 15 secondi Ma ora c’è la novità del tetto in tela. Da provare. Il trolley da viaggio entra nel bagagliaio. Il solito, quello della Mini, che come tutti sanno non è una station wagon. Ma che perde poco rispetto alla sorella con tetto fisso. Capote chiusa, capienza 165 litri; capote ripiegata, 120 litri. Ma ora c’è una novità che gli inglesi chiamano “easy load”. Insomma, carico facile.
Il portello del bagagliaio, incernierato all’esterno (effetto molto artigianale) si abbassa come un ponte levatoio, una scritta avverte: tiene fino a 80 kg. La maggior parte di noi potrebbe sedercisi sopra. Ma si apre parzialmente anche la parte finale della capote in tela, sollevandosi. Risultato: una bocca aperta che facilita il carico del nostro (scarso) bagaglio.

Dentro ci possiamo mettere una valigia (piccola) e un borsone morbido, niente di più. E la ruota di scorta? Né quella nè il ruotino: con i cerchi da 16” (e da 17”, optional) si viaggia su pneumatici run-flat: si bucano ma non si disintegrano, a patto di viaggiare a non più di 80 all’ora, con l’autonomia sufficiente a portarvi dal meccanico più vicino.
Ma a noi importa entrare, e premere il bottoncino magico sul montante del parabrezza. Che in quindici secondi cambia la storia della Mini: mentre i finestrini posteriori si abbassano, scorre orizzontalmente una porzione di tela proprio sulla nostra testa (si può lasciare così, e sopra già si vede il cielo), tenendo ancora premuto il pulsante i montanti del tetto si sganciano dal parabrezza, la capote si ripiega in tre strati, formando per un attimo una spettacolare “zeta” e infine si ripiega dietro i sedili posteriori.
La Mini ora è una Mini cabrio, l’accompagnatore turistico manda al diavolo quelli del gruppo ancora incollati alla siepe, noi mettiamo in moto.
Tre “benzina”, il diesel arrivera’ Siamo distratti. Vorremmo guardare dentro, i particolari dell’abitacolo (sedili in pelle, quattro posti, dietro un po’ sacrificati), colori e accostamenti, ma nei primi metri bisogna fare i conti con il cielo, appoggiato sopra la nostra testa, l’aria e i profumi che entrano senza incontrare ostacoli. “Always open”, ci aveva salutato così l’uomo-Mini al momento della partenza. Proprio così: vorremmo lasciarla sempre aperta.
La cabrio testata è una Cooper, 115 cavalli, millessei di cilindrata, scattante quanto basta (9,8 secondi da 0 a 100), veloce pure (oltre 190). Ma in versione cabrio saranno anche la più tranquilla “One” (stessa cilindrata ma con 90 cavalli, 11,8 da 0 a 100, 175 orari) e la scatenata Cooper S da 170 cavalli, gatto selvatico pronto a prendere i 100 orari nello spunto da fermo in 7,4 secondi e a volare a 215 all’ora. E la diesel? Arriverà, arriverà, ma solo dopo l’anno canonico delle versioni a benzina.
Per ora la Cooper azzurrina che si avvia sulla costiera orientale sarda, direzione sud, basta e avanza. La luce invade un abitacolo che sembra una cucina anni sessanta: a destra, la curva del portaoggetti anteriore, metallo a vista color pastello, ricorda i vecchi frigoriferi della Ignis; di fronte al nostro naso il contagiri è grande e rotondo come un orologio da parete. E là sotto, al centro della consolle, le levette metalliche su-e-giù riaprono vecchi ricordi: anno 1966, una Cinquecento, le levette quasi identiche che accendevano e spegnevano i fari. Bella, bellissima così.
La seduta è quella (già lo sapete) da go-kart: volante verticale, sedile e cintura che ci abbracciano, noi infossati il giusto, con la linea del cruscotto ad altezza naso e la sensazione che quella lattina di coca-cola che rotola sulla strada ci sfiorerà il fondoschiena appena ci passeremo sopra.
Correre “open air” Non ci sono novità nel comportamento su strada, e questa è di per sé una bella novità. Infatti la scocca già rigidissima non è stata traumatizzata dalla scomparsa del tetto rigido, le sospensioni (dietro le multilink) ed i freni (quattro dischi) sono quelli delle Mini chiuse, i motori anche, i dispositivi elettronici che affollano il cofano mignon permettono piccole grandi follie da gustare sul misto veloce più che in autostrada.
Così si pennellano curve al limite dell’aderenza: sulla Cooper e sulla Cooper S è pure di serie il controllo della trazione (ASC+T), che garantisce traiettorie perfette. Ma anche disinserendolo (no, voi non fatelo!) la tolleranza alle manovre azzardate è elevatissima.
Ma perché parliamo di questo? E’ la cabrio che conta. Così eccoci vicino alla spiaggia, tra un popolo di vacanzieri che guardano questo giocattolo riconoscibilissimo a un chilometro di distanza, per di più con la variante del tetto in tela (abbassato).
Tra roll-bar e optional raccomandati Dura prova anche per chi ama attirare l’attenzione su di sé. Se la Mini piace a molti, la Mini cabrio sembra piacere a tutti. La signora in pareo fa la domanda più assurda: “La capote si può staccare e lasciare a casa?”. Traumatizzante. I ragazzi di vent’anni sono preparatissimi (“la Mini cabrio può montare i cerchi da 17, vero?”. La risposta è sì, come optional), ma restano anche loro inebetiti davanti al tettuccio che si alza e si ripiega. Un bambino di dieci anni tocca tutto, perché “sembra un giocattolo”, e in fondo non ha tutti i torti: quando la Mini venne lanciata tre anni fa, gli ingegneri inglesi tennero a precisare che si erano messi tutti attorno al tavolo di progettazione con l’idea fissa di creare un “toy”. Dura prova quando ci accorgiamo che tutta questa attenzione è rivolta alla Mini open-air e non a noi, così buttiamo sul divanetto posteriore penna e blocchetto su cui eravamo pronti a firmare qualche autografo, e spieghiamo di tutto e di più sulla nuova Mini. Per esempio che con il frangivento montato (optional raccomandato) si può viaggiare aperti a medie elevatissime. Ma che, volendo, si può anche decidere di aprire solo una porzione di tela, solo sulla nostra testa, e lo si può fare anche con la machina in movimento, fino a 120 chilometri orari. E che, a capote chiusa, solo qualche fruscio differenzia la versione cabrio dalla berlina. Il mare è lì dietro, manovriamo in uno stretto parcheggio tra i “bip” del Park Distance Control (di serie), ma dieci minuti per un bagno non si trovano: ora c’è anche il bagnino che fa domande.
Compresa la più logica: “Quanto costa?” La Cabrio One 19.700 euro. Noi ci aggiungeremmo come optional, oltre al frangivento, il DSC, cioè il controllo dinamico della stabilità, di serie invece sulla Cooper e sulla Cooper S, che costano rispettivamente 21.750 e 26.100 euro. Leggero imbarazzo, visti i prezzi, quando qualcuno tocca gli scenografici roll bar che inglobano i poggiatesta posteriori: l’anima è in alluminio ad altissima resistenza, ci mancherebbe, ma la cromatura a specchio in cui una ragazza poco prima si controllava il trucco è vile plastica. Nessuno è perfetto.

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