Renault Laguna Grandtour 2.2. dci: Test Drive

Renault Laguna Grandtour 2.2. dci: Test Drive. Segni particolari: espressione un po’ banditesca a causa di una sottile maschera grigia sfacciatamente calata sugli “occhi”. Alzi la mano chi, quando ha visto per la prima volta la nuova Renault Laguna sulle pagine on-line di Infomotori e poi dal vivo sulle strade, non è stato colpito dal suo muso particolare, con quell’inserto in plastica a completare la curva del cofano e ad allungarsi sulla generosa fanaleria anteriore. Prendere o lasciare, i designers francesi sono fatti così e di notte dormono solo se sanno di aver stupito (o sconcertato) il tumultuoso popolo degli automobilisti.
Qualcosa di strano Così l’ultima versione di Laguna non poteva fare eccezione e qualcosa di strano doveva pur mostrare. Non fosse per quel particolare, bisognerebbe dire che berlina e station (soprattutto la station) sono semplicemente belle, il che comunque non è poco vi pare? Quella del test-drive era la versione Grandtour, che poi significa familiare. Nera come una notte senza luna e con cerchi da 17″ (alla faccia della tranquilla giardinetta), su pneumatici ipermaggiorati da 225/45 – ma la versione base non nasce con queste misure – sembrava più una grande coupè da metter in pista al più presto più che il machinone su cui infilare moglie, figli e set di valigioni. Il merito, colore e gommatura a parte, è del riuscitissimo disegno che fa della Laguna station una delle auto più slanciate in circolazione. Tutto, visto da fuori è inclinatissimo, dal parabrezza al lunotto, fino ai gruppi ottici posteriori, chiaramente frutto di un design pensato per dare l’idea di grande dinamicità. La linea di cintura alta e, per contrasto, l’altezza della vettura piuttosto ridotta, fanno il resto: l’ultima generazione di Laguna è lontana anni luce dalle progenitrici che l’hanno preceduta, quelle che piacevano ai francesi ma che avevano lasciato alquanto indifferenti gli automobilisti italiani (che, tra l’altro, non si erano mai ripresi dalla anonima Nevada).
L’abitacolo che vorresti Ora, a salire sulla Laguna lunga ci si sente importanti e magari coscientemente alternativi a chi si ostina a spendere una barca di soldi per ammiraglie station con sangue tedesco o svedese. Già nel primo approccio all’auto ci si può regalare un momento hi-tech, estraendo dalla tasca una scheda elettronica che sostituisce la chiave e che fa aprire le portiere (e volendo il portellone posteriore). Aperta la porta ecco l’abitacolo che vorresti vedere quando sei di pessimo umore: sedili imbottitissimi in pelle chiara, con pulsanti per le regolazioni elettriche. Una volta accovacciati lì sopra, la giornataccia sembra già meno cupa. Un tocco al cruscotto scuro e si solleva, come la porta basculante del garage, il pannello che nasconde impianto hi-fi e navigatore. Immessa la destinazione non resta che partire. Fa ancora tutto la scheda, che va inserita in una fessura e permette di avviare il motore con un pulsantone sulla destra del volante (multifunzione).
Cambio double face A mettersi in movimento è un propulsore turbodiesel di ultima generazione da 2,2 litri, quattro cilindri per 150 cavalli: quanto basta per far spostare la Laguna in silenzio e in souplesse (aiuta la grande coppia), ma anche a farla scattare con grande generosità, nonostante la mole notevole: 4 metri e settanta di lunghezza per uno e settantacinque di larghezza. Il macchinone tocca così i 212 chilometri orari, mentre il propulsore a gasolio assicura percorrenze (nel combinato) da mettere il cuore in pace a chi guardava con timore alla stazione di servizio: 15,6 chilometri con un litro. La Laguna testata era dotata di cambio automatico, con aggiunta della modalità sequenziale dedicata a chi ogni tanto vuole fare di testa propria.
Su strada… Prima di imboccare l’autostrada, un percorso misto tutto curve e saliscendi mette subito in chiaro una cosa: è vero che macchine di queste dimensioni ormai possono affrontare in tutta tranquillità curve e controcurve anche ad andatura più che allegra. Perché lì davanti sono già in allerta il controllo della stabilità Esp e Abs con ripartitore elettronico Ebv, mentre vi mettono il cuore in pace anche sei rassicuranti airbags e persino il controllo automatico della pressione delle gomme. Ma – e questa è una sensazione tutta da automobilista, che con l’elettronica non c’azzecca per nulla – è chiaro che una Laguna station (così come una qualsiasi grossa familiare) non vedi l’ora di metterla su un’autostrada a tre corsie, con cruise control impostato sui 130, sedile ben regolato, navi in funzione e radio pure.
Voglia di autostrada Così il momento tanto atteso arriva, il casello d’ingresso è già oltrepassato e il nastro d’asfalto sta già scorrendo sotto di noi. Ora il ronzio del diesel, piuttosto “presente” al minimo, è un ricordo lontano, e possiamo pensare ai fatti nostri, dando una sbirciatina con la coda dell’occhio agli altri automobilisti, che una Laguna station di colore nero la guardano eccome. Si fila sull’olio, in un abitacolo ben insonorizzato, con una convinzione che aumenta con il passare dei chilometri: il rapporto qualità/prezzo è più che buono. E’ vero infatti che le station di lusso non le senti al minimo, dentro hanno la radica e ti riempiono dell’orgoglio di possedere “quel” marchio. Ma costano almeno il doppio, visto che la Laguna Grandtour turbodiesel 2,2 è in listino a 25.700 e 27.100 euro (versioni Dynamique e Privilège). E a chi non piace quella mascherina? Trucco semplice semplice: con la Laguna grigia non si vede più. Mentre a chi piace l’espressione da bandito ha solo l’imbarazzo della scelta: la mascherina grigia si vede con tutti gli altri colori (nero compreso). Anche l’occhio vuole la sua parte.

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